Innanzitutto, complimenti all’Ambrì Piotta, perché in una post season verso l’alto, ovvero playoff o play-in, attendeva il passaggio del turno dal 2000. Che attesa per molti tifosi, la società, tutto l’ambiente biancoblù. Un quarto di secolo dove per i leventinesi ci sono state altre conquiste più importanti, dalla nuova pista alla salvezza in stagioni complesse, la Spengler vinta, ma anche dal lato sportivo in campionato ci voleva finalmente un primo grande traguardo. In fondo, quanti giovani tifosi non avevano mai gustato questo brivido!
Ed è questo un giusto premio anche per il duo Cereda/Duca, ed è proprio della “teoria di Duca” che prendo spunto per questo testo. Con Paolo abbiamo commentato assieme 4 mondiali di hockey, l’argento svizzero a Copenaghen, l’eliminazione bruciante del 2019 a Kosice contro il Canada, col pareggio subito nell’ultimo secondo. Questo anche per colpa di alcune liberazioni vietate della Svizzera nell’ultimo minuto, che avevano riportato l’ingaggio dalle parti di Genoni. La “teoria di Duca” era in contrasto con la mia (quando si vive un mondiale si è come immersi in una passione che trascende le partite, si parla, s’impara, ci si confronta, tutto il tempo), ovvero meglio cercare la porta vuota rischiando la liberazione vietata per lui, meglio scodellare il disco fuori dal terzo e guadagnare tempo, magari cambiando anche chi è sul ghiaccio, per me. Ieri sera quando Malte Strömwall ha cercato la porta vuota a 84 secondi dalla fine ho subito pensato a Duca: “Dai che ha seguito la sua teoria e questo porterà al gol … dell’Ambrì!”. I sei in pista da quando mancavano 170 secondi alla fine dell’incontro hanno potuto beneficiare di un time out, recuperare energie, un ingaggio offensivo, per l’assalto finale che ha portato al gol a firma DiDomenico. E lì è come se si è annodato un discorso infinito della storia dell’Ambrì, passata anche proprio da Kosice dove fu vinta la prima Continental Cup nel 1999, stagione in cui Paolo Duca dava i primi colpi di pattino in serie A assieme ad un altro giovane, Luca Cereda.
“Le emozioni sono il motivo per cui ci piace tanto l’hockey su ghiaccio” ha detto dopo la sfida “Duke”, emozioni come quelle speciali vissute da DiDomenico diventato papà poco prima della partita (le sue lacrime a fine incontro toccanti), da quanto Wüthrich ha ingiustamente subito nella vita, entrambi però lì, sul ghiaccio, sempre, ad onorare una maglia. La doppietta di Maillet, bollato da molti come “palo”, “fantasma”, … ha confermato come anche per un DS il confine tra giusto e sbagliato possa essere breve. In fondo Maillet, quello vero, era difficile vederlo ad inizio stagione tra una preparazione approssimativa ed una commozione cerebrale (sempre una brutta “bestia”). Ed allora, evviva “la teoria di Duca”, l’hockey che ti mette in un amen dalla parte degli eroi o da quella dei perdenti (se Strömwall, impressionane comunque, avesse timbrato la rete a porta vuota…). Emozioni. Tante. Per Duca, Cereda, tutta la famiglia biancoblù. Ed una preghiera alla Lega per il futuro: vietate l’uso dei fastidiosissimi cartoncini pieghevoli. Sono peggio delle Vuvuzela. Almeno, personalmente, mi piace sentire le curve che cantano. E magari si evitano alcuni lanci proibiti… Con Duca lì, in piedi sulla balaustra, a proteggere i suoi paladini. Che è l'unica vera "teoria di Duca": passione, passione ed ancora passione.