Arbitri, giudici, sala VAR, chi più ne ha più ne metta. Se ne parla troppo? Poco? Il confine è spesso difficile da delineare, anche per un telecronista, che vorrebbe farne a meno a ogni diretta e parlare solo di sport. In taluni sport è inevitabile fare i conti con le note. Come per la ginnastica, il pattinaggio artistico, oppure la boxe e i punteggi spesso discussi e discutibili. Ci sarà a esempio l’11 luglio il terzo incontro tra Amanda Serrano e Katie Taylor al Madison Square Garden, dopo i precedenti vinti dall’irlandese che hanno scatenato le ire dei sostenitori della portoricana. Ed è già polemica prima dell’incontro, così come una delle eredi della Taylor (di Bray anche lei, a sud di Dublino) Daina Moorehouse ha subito l’ennesima ingiustizia della carriera, olimpiadi di Parigi comprese, oggi 11 marzo nel mondiale a Belgrado (categoria 50 Kg).
E qua emerge anche la difficoltà di essere giornalista, a volte distaccato dall’evento, come nel caso della recente sfida tra Ambrì Piotta e Kloten, dove di episodi dubbi ce ne sono stati una marea. Vedi la delusione (anche rabbia) di Paolo Duca a fine incontro, quella sensazione già scritta qua a “Contropiede” che tra l’arbitro Lemelin e Chris DiDomenico (nella foto Ticishot-Simone Andriani) ci sia della vecchia ruggine votata a falsarne i giudizi sul ghiaccio (e, va detto, anche l’atteggiamento del canadese dell’Ambrì spesso non aiuta). Storie già viste e vissute, quando giocavo a basket, nonostante fossi una sorta di Gary Lineker (che ammirazione per lui!). L’inglese in 16 anni di carriera straordinaria firmò un’impresa unica: zero cartellini gialli o rossi. 654 partite!! Condite da 331 goals (48 con l’Inghilterra!). Condivido il pensiero, scettico, di Enrico Carpani dall’introduzione del VAR, ma immagino anche come si possa migliorare nel futuro. Come nel basket, offrire la “singola chiamata” agli allenatori nel calcio. E nell’hockey, anche per un intervento come quello di Simic. Una stanza dei bottoni neutra e lontana a decidere, regole chiare e insindacabili (nel calcio se ne arrivi “a una” sui falli di mano in area di rigore). E, a supporto degli arbitri, anche maggior fair play da parte dei giocatori. Alla Lineker. Contemporaneamente, se un giocatore sbaglia e finisce in tribuna, valga lo stesso discorso per i direttori di gara. Sembra facile a dirsi. Ma non lo è. Come arbitrare, come essere giudice, come commentare a volte al microfono. Ma la base di partenza deve essere sempre e solo una. Dare agli atleti una linea uguale, paritaria, rispettosa dei loro sacrifici, non condizionata (se nel basket coach Obradovic avesse avuto lo stesso trattamento di mille altri allenatori avrebbe finito metà delle partite espulso).
E qua emerge anche la difficoltà di essere giornalista, a volte distaccato dall’evento, come nel caso della recente sfida tra Ambrì Piotta e Kloten, dove di episodi dubbi ce ne sono stati una marea. Vedi la delusione (anche rabbia) di Paolo Duca a fine incontro, quella sensazione già scritta qua a “Contropiede” che tra l’arbitro Lemelin e Chris DiDomenico (nella foto Ticishot-Simone Andriani) ci sia della vecchia ruggine votata a falsarne i giudizi sul ghiaccio (e, va detto, anche l’atteggiamento del canadese dell’Ambrì spesso non aiuta). Storie già viste e vissute, quando giocavo a basket, nonostante fossi una sorta di Gary Lineker (che ammirazione per lui!). L’inglese in 16 anni di carriera straordinaria firmò un’impresa unica: zero cartellini gialli o rossi. 654 partite!! Condite da 331 goals (48 con l’Inghilterra!). Condivido il pensiero, scettico, di Enrico Carpani dall’introduzione del VAR, ma immagino anche come si possa migliorare nel futuro. Come nel basket, offrire la “singola chiamata” agli allenatori nel calcio. E nell’hockey, anche per un intervento come quello di Simic. Una stanza dei bottoni neutra e lontana a decidere, regole chiare e insindacabili (nel calcio se ne arrivi “a una” sui falli di mano in area di rigore). E, a supporto degli arbitri, anche maggior fair play da parte dei giocatori. Alla Lineker. Contemporaneamente, se un giocatore sbaglia e finisce in tribuna, valga lo stesso discorso per i direttori di gara. Sembra facile a dirsi. Ma non lo è. Come arbitrare, come essere giudice, come commentare a volte al microfono. Ma la base di partenza deve essere sempre e solo una. Dare agli atleti una linea uguale, paritaria, rispettosa dei loro sacrifici, non condizionata (se nel basket coach Obradovic avesse avuto lo stesso trattamento di mille altri allenatori avrebbe finito metà delle partite espulso).
La boxe ne è un altro esempio, tra lotte intestine tra la IBA (la Federazione Internazionale) e la neonata World Boxing sostenuta dal CIO. Un minestrone d’interessi (che si annodano anche tra Russia ed Ucraina e la guerra…). E poi facciamocene anche una ragione. Siamo umani e sbagliamo tutti. E si parlerà di errori sempre anche in futuro. L’importante è che essi siano in buona fede. E qua, troppe volte, il dubbio diventa un “tarlo” nella testa. Per questo si trovi il modo di rendere la tecnologia più efficace. Come per il fuorigioco nel calcio. Dove il miglioramento è stato netto e benefico.