Questa volta, nel Giro delle Fiandre, Tadej Pogačar ha vinto il duello con Mathieu van der Poel, suo degno avversario, dopo che a Sanremo, a prevalere, era stato il corridore olandese. Ma è stata, ancora una volta, una gara spettacolare. Il campione del mondo, in una corsa decisamente più selettiva della Classicissima d'oltre confine, ha fatto valere la sua classe e la sua forza, eliminando man mano i rivali, negli ultimi 60 dei 269 km complessivi di una corsa disputata col bel tempo, una situazione che non sempre piace al vincitore del Giro d'Italia della passata stagione.
Dopodiché, il vincitore ha potuto contare, come sempre, di una squadra di livello, capace di rendere sempre la corsa difficile, consegnandola sul vassoio al proprio capitano a 60 km dal traguardo, dove Tadej ha aperto le ostilità. L'attacco decisivo è avvenuto all’Oude Kruisberg, dove Mathieu van der Poel non è riuscito a rispondere alla progressione implacabile di quello che, oggi, è decisamente il migliore del gruppo. 18 i km di fuga del corridore in maglia iridata, che è arrivato solo al traguardo, con 1' circa di vantaggio sugli inseguitori (secondo Mads Pedersen, terzo Mathieu van der Poel). Buona anche la prova del portacolori rossocrociato Stefan Küng, giunto settimo a 1'53", precedendo l'italiano Filippo Ganna, primo degli azzurri a 2'19".
Decisamente, uno spettacolo. Lo sloveno ha una capacità eccezionale di rendere la corsa durissima, grazie appunto a una squadra forte e in grado di mettere tutti alla frusta sin dalle prime fasi. Il suo piano corsa è quasi laconico: quando la strada inizia salire in modo importante, lui parte, con una progressione implacabile, alzandosi sui pedali solo quando serve. Dietro, provano a tenere la ruota: c'era riuscito Mathieu van der Poel in Riviera ligure, un paio di settimane fa, ma perché la Cipressa è un'asperità non abbastanza difficile, nonostante arrivi dopo una distanza considerevole percorsa dai corridori. Poi, ovviamente, non tutti sono in grado di restare assieme a Tadej Pogačar: ce la può fare, appunto, solo un fuoriclasse del calibro dell'olandese nipote di Raymond Poulidor, e con lui pochi altri.
In definitiva, dobbiamo sentirci fortunati per poter raccontare, da contemporanei, le gesta di questo fenomeno. Ogni venti/trent'anni capita, infatti, di vivere nell'epoca di atleti di particolare spessore: rispetto ai contemporanei, pensiamo a Marco Odermatt nello sci, per dire, Max Verstappen nell'automobilismo e, anche se qualche anno fa, Lionel Messi e Cristiano Ronaldo nel calcio, anche se negli sport di squadra non si vince da soli. A nostro padre abbiamo sempre invidiato di aver potuto assistere, dal vivo, alle imprese del grande Fausto Coppi e, qualche decennio più tardi, di Eddy Merckx, del quale abbiamo alcuni sbiaditi ricordi d'infanzia anche noi, con indosso la maglia nera e marrone della Molteni. Ora, guardando Tadej Pogačar in televisione e, quando ci è capitato, assistendo ad alcune sue imprese dal vivo, al Giro e al Lombardia dello scorso anno, non abbiamo che potuto pensare che, forse, dovunque sia ora, possa essere il suo turno di provare un pizzico d'invidia.
Dopodiché, il vincitore ha potuto contare, come sempre, di una squadra di livello, capace di rendere sempre la corsa difficile, consegnandola sul vassoio al proprio capitano a 60 km dal traguardo, dove Tadej ha aperto le ostilità. L'attacco decisivo è avvenuto all’Oude Kruisberg, dove Mathieu van der Poel non è riuscito a rispondere alla progressione implacabile di quello che, oggi, è decisamente il migliore del gruppo. 18 i km di fuga del corridore in maglia iridata, che è arrivato solo al traguardo, con 1' circa di vantaggio sugli inseguitori (secondo Mads Pedersen, terzo Mathieu van der Poel). Buona anche la prova del portacolori rossocrociato Stefan Küng, giunto settimo a 1'53", precedendo l'italiano Filippo Ganna, primo degli azzurri a 2'19".
Decisamente, uno spettacolo. Lo sloveno ha una capacità eccezionale di rendere la corsa durissima, grazie appunto a una squadra forte e in grado di mettere tutti alla frusta sin dalle prime fasi. Il suo piano corsa è quasi laconico: quando la strada inizia salire in modo importante, lui parte, con una progressione implacabile, alzandosi sui pedali solo quando serve. Dietro, provano a tenere la ruota: c'era riuscito Mathieu van der Poel in Riviera ligure, un paio di settimane fa, ma perché la Cipressa è un'asperità non abbastanza difficile, nonostante arrivi dopo una distanza considerevole percorsa dai corridori. Poi, ovviamente, non tutti sono in grado di restare assieme a Tadej Pogačar: ce la può fare, appunto, solo un fuoriclasse del calibro dell'olandese nipote di Raymond Poulidor, e con lui pochi altri.
In definitiva, dobbiamo sentirci fortunati per poter raccontare, da contemporanei, le gesta di questo fenomeno. Ogni venti/trent'anni capita, infatti, di vivere nell'epoca di atleti di particolare spessore: rispetto ai contemporanei, pensiamo a Marco Odermatt nello sci, per dire, Max Verstappen nell'automobilismo e, anche se qualche anno fa, Lionel Messi e Cristiano Ronaldo nel calcio, anche se negli sport di squadra non si vince da soli. A nostro padre abbiamo sempre invidiato di aver potuto assistere, dal vivo, alle imprese del grande Fausto Coppi e, qualche decennio più tardi, di Eddy Merckx, del quale abbiamo alcuni sbiaditi ricordi d'infanzia anche noi, con indosso la maglia nera e marrone della Molteni. Ora, guardando Tadej Pogačar in televisione e, quando ci è capitato, assistendo ad alcune sue imprese dal vivo, al Giro e al Lombardia dello scorso anno, non abbiamo che potuto pensare che, forse, dovunque sia ora, possa essere il suo turno di provare un pizzico d'invidia.